lunedì 14 gennaio 2013

Tutta colpa dei figli?

Di donne, lavoro, famiglia e conciliazione mi sono occupata più volte negli ultimi anni. Tra manager in carriera pentite di aver rinunciato ai figli, mamme dirigenti bravissime nel districarsi tra riunioni e recite scolastiche, professioniste che si sono inventate un'attività nuova dopo il parto e disoccupate che hanno perso lo stipendio e la voglia di truccarsi la mattina. Ma è quando ho toccato con mano che sono riuscita a capire, al di là delle proposte di legge, le graduatorie al nido e il telelavoro, cosa significa convincere gli altri che, anche se hai una bambina di pochi mesi, sei sempre la stessa. Certo, ogni tre ore c'è la poppata (perché dall'altra parte c'è anche il senso di colpa del ricorrere alla chimica quando «sei tanto fortunata che hai il latte»). Poi lo svezzamento (perché «signora è un cambiamento fortissimo per un bambino, deve essere paziente, tanto paziente»). Poi i primi malanni («sicura che è un raffreddore? non vedi come sta male? non hai chiamato il pediatra?»).
 Perché a chi mi diceva che un figlio di cambia la vita (non dormi più, non vai al cinema, non puoi improvvisare week end...), dico: non è vero. Un figlio ti cambia il modo in cui gli altri ti vedono e, alla fine, anche come ti vedi tu. Ho lavorato fino al momento del travaglio, complice la scelta di lasciare Milano (dove ero andata a vivere e lavorare), tornare a Prato e continuare la mia attività come free lance invece di avere un contratto in un service editoriale (il che significa sì un contratto giornalistico a tutti gli effetti, ma niente garanzie sul futuro). I primi mesi tutto bene, al di là dell'abituarsi a non avere più i colleghi fianco a fianco, le pause caffè e i pranzi con la schiscetta o un panino. La bambina nasce in estate e, tranne gli impegni già presi, sospendo il lavoro per due mesi (luglio e agosto). Poi riprendo a lavorare. Ma non è più la stessa cosa.
 Sarà la crisi, sarà che diradi i tuoi viaggi a Milano (vedi alla voce allattamento, divezzamento e così via), sarà la paura che hai di non farcela, saranno le telefonate dei capi "ma se puoi, se ce la fai con la bambina" che forse sono un atto di gentilezza, ma di fatto di fanno sentire un collaboratore part-time. E così cominci a non sentirti più una brava professionista, né tanto meno una brava mamma. E visto che siamo nel bel mezzo della campagna elettorale quando senti proposte come «le donne con figli devono avere la possibilità di lavorare da casa» non pensi più (come prima) che è bello e giusto, ma che no, tu vuoi uscire, mollare la pupa e tornare a essere considerata una persona a tempo pieno. E ti domandi ogni mattina: e ora, cosa invento? Per tornare a essere se stessi, avere lo stesso spirito di iniziativa, la stessa fiducia, la stessa voglia di prima. Perché tu ti renda conto che sei come prima, solo un po' più felice.

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