lunedì 28 gennaio 2013

Prudenza o coraggio

Il primo pensiero del lunedì va al calendario per le iscrizioni agli asili nido. Difficile entrare in graduatoria, rette piuttosto costose (anche al comunale), una bambina che a settembre avrà poco più di un anno e probabilmente passerà gran parte dei primi mesi di nido a casa malata. Eppure la mia convinzione che senza nido non è possibile tornare a lavorare attivamente non è campata in aria: per quanto ci si voglia organizzare, per quanto la creatura sia pacifica, il lavoro ha bisogno soprattutto di concentrazione e motivazione. Cercare nuovi lavori, poi, ne ha ancora più bisogno. Da qui la mania di guardare ogni giorno se è stato pubblicato il calendario dei "nidi aperti" (perché con la suocera che ti fa venire i sensi di colpa ricordandoti i peggiori fatti di cronaca dare un'occhiata è il minimo...), scrivere sull'agenda quando aprono le iscrizioni, valutare se quelle on line magari hanno la precedenza (non si sa mai, magari gli resti più simpatica perché ti sei presa anche la briga di acquistare il lettore card). E poi pensare a tutte le strategie per tornare fortemente attivi sul lavoro e giustificare questa scelta: cv aggiornato (fatto), formazione continua (fatto), calendario di idee e proposte, riallacciare i vari contatti. E pensare che, in fondo, negli ultimi mesi non è che sei stata proprio con le mani in mano. Ho letto un illuminante racconto di Anya a questo proposito e soprattutto i tanti commenti che seguono. È vero le libere professioniste lavorano fino al travaglio, ma poi riescono a  non farsi considerare comunque in maternità? Non ho lavorato solo per due mesi dopo la nascita della bambina (luglio e agosto), poi ho ripreso a lavorare. Ma ti senti sempre un po' a metà con le poppate ogni tre ore, poi lo svezzamento. Non è un caso se gran parte delle mamme tornano in ufficio dopo cinque mesi. E allora, forse, meglio fare una cosa alla volta e non cercare di essere multitasking a tutti i costi.

sabato 19 gennaio 2013

Viaggio tra i programmi elettorali

Ho cercato e letto i programmi di partiti e movimenti per le prossime elezioni. È stata un'avventura sconfortante. Ho preso in considerazione solo Pd, Sel, Pdl, Lista Monti, Movimento 5 stelle e Fermare il declino, quindi diciamo non proprio partiti piccolissimi o poco noti. Innanzitutto trovare i programmi a volte non è così facile o, almeno, quello che è un programma elettorale a me sembrava solo una carta d'intenti o un ammasso di slogan a cui far seguire qualcosa di un pochino più sostanzioso... e invece nulla. Era tutto lì. In particolare a me interessa il capitolo "lavoro", un tema non secondario a  mio modesto avviso. E cosa ti trovo? O quasi il nulla (nelle 15 pagine di un programma, per esempio, al capitolo Economia si dedicano poche righe delle quali solo una dedicata al tema del lavoro in senso stretto), o una serie puntuale di proposte (che ti viene in mente solo un'obiezione: perché non l'avete fatte finora?) o tante belle idee che non si capisce come verranno attuate (dove vengono presi i soldi? A quanto dovrebbe ammontare una defiscalizzazione per le imprese che assumono?). Insomma, tanti buoni propositi mal spiegati. Ah, esiste anche un lungo (e scusate, noioso) programma che pare più un manifesto filosofico su tutto quello che non va e che verrà cambiato (senza spiegare come), un altro che attacca con la pace nel mondo (non scherzo). Un dato apparentemente confortante: quasi tutti pensano a interventi ad hoc per le donne. Qualcuno lo fa perché ci sta bene (proporre solo il telelavoro, che già esiste per altro, sembra proprio un'aggiunta dell'ultimo secondo... ah, già... le donne), qualcuno perché ne è convinto e soprattutto, secondo me, perché ha chiesto alle donne cosa serve (più asili nido, è sicuro). Qualcuno se ne frega.

I leader dei programmi analizzati da Il Sole 24 Ore
Qualche giorno fa su Il Sole 24 Ore Marco Rogari aveva confrontato i programmi elettorali (di Pd, Pdl, Lista Monti, Movimento 5 stelle, Rivoluzione civile e Fermare il declino) sul tema del pareggio di bilancio e debito pubblico, valutandone efficacia e fattibilità. Rogari lamenta che i programmi fin qui pubblicati (e visto che manca poco più di un mese alle elezioni pensiamo che siano i definitivi) ci siano poche misure dettagliate sui temi da lui analizzati (ma non solo su quelli). Inoltre, per nessuno, nemmeno per l'ex tecnico prof Monti, l'analisi offre il cartellino verde sulla reale concretezza delle proposte. Inquietante.

Del resto, si sa, le elezioni non si vincono sui programmi. Chi ha provato a essere preciso e dettagliato non ha mai conquistato il Parlamento. Ma forse oggi, in questo mare di incertezza, qualche dato in più non fa male.

martedì 15 gennaio 2013

Lavorare gratis, anche no

Nell'esperienza di tutti i giorni non è una novità: sempre più spesso ci si trova a lavorare tanto, ma per poco. Retribuzioni sotto il livello della decenza, compensi tagliati anno dopo anno. In media le donne guadagnano il 17% in meno degli uomini in Europa (in Italia va anche peggio) tanto che la parità di genere sul lavoro è ancora un obiettivo lontano. Un dato però è ancora più sconfortante e lo registra oggi l'Acta (Associazione consulenti terziario avanzato) con uno studio sulle libere professioni: si lavora gratis. Non solo c'è meno domanda di servizi a causa della crisi, i pagamenti sono dilazionati nel tempo, il prezzo è l'unico fattore considerato (più della competenza). Oltre la metà degli intervistati lavora gratuitamente: per il 37% è una richiesta occasionale, per il 15,9% si tratta invece di un fenomeno frequente. E se si dice di no? C'è qualcun altro pronto a farlo, come denunciato dal 51%. Non è così in tutti i settori, il lavorare gratis è all'ordine del giorno in aree come pubblicità, editoria e design e tra gli architetti. Eppure accettare di non essere retribuiti lede sia la propria professionalità, sia quella degli altri. Il compenso è fondamentale per poter parlare di lavoro. Altrimenti chiamatelo volontariato.

lunedì 14 gennaio 2013

Tutta colpa dei figli?

Di donne, lavoro, famiglia e conciliazione mi sono occupata più volte negli ultimi anni. Tra manager in carriera pentite di aver rinunciato ai figli, mamme dirigenti bravissime nel districarsi tra riunioni e recite scolastiche, professioniste che si sono inventate un'attività nuova dopo il parto e disoccupate che hanno perso lo stipendio e la voglia di truccarsi la mattina. Ma è quando ho toccato con mano che sono riuscita a capire, al di là delle proposte di legge, le graduatorie al nido e il telelavoro, cosa significa convincere gli altri che, anche se hai una bambina di pochi mesi, sei sempre la stessa. Certo, ogni tre ore c'è la poppata (perché dall'altra parte c'è anche il senso di colpa del ricorrere alla chimica quando «sei tanto fortunata che hai il latte»). Poi lo svezzamento (perché «signora è un cambiamento fortissimo per un bambino, deve essere paziente, tanto paziente»). Poi i primi malanni («sicura che è un raffreddore? non vedi come sta male? non hai chiamato il pediatra?»).
 Perché a chi mi diceva che un figlio di cambia la vita (non dormi più, non vai al cinema, non puoi improvvisare week end...), dico: non è vero. Un figlio ti cambia il modo in cui gli altri ti vedono e, alla fine, anche come ti vedi tu. Ho lavorato fino al momento del travaglio, complice la scelta di lasciare Milano (dove ero andata a vivere e lavorare), tornare a Prato e continuare la mia attività come free lance invece di avere un contratto in un service editoriale (il che significa sì un contratto giornalistico a tutti gli effetti, ma niente garanzie sul futuro). I primi mesi tutto bene, al di là dell'abituarsi a non avere più i colleghi fianco a fianco, le pause caffè e i pranzi con la schiscetta o un panino. La bambina nasce in estate e, tranne gli impegni già presi, sospendo il lavoro per due mesi (luglio e agosto). Poi riprendo a lavorare. Ma non è più la stessa cosa.
 Sarà la crisi, sarà che diradi i tuoi viaggi a Milano (vedi alla voce allattamento, divezzamento e così via), sarà la paura che hai di non farcela, saranno le telefonate dei capi "ma se puoi, se ce la fai con la bambina" che forse sono un atto di gentilezza, ma di fatto di fanno sentire un collaboratore part-time. E così cominci a non sentirti più una brava professionista, né tanto meno una brava mamma. E visto che siamo nel bel mezzo della campagna elettorale quando senti proposte come «le donne con figli devono avere la possibilità di lavorare da casa» non pensi più (come prima) che è bello e giusto, ma che no, tu vuoi uscire, mollare la pupa e tornare a essere considerata una persona a tempo pieno. E ti domandi ogni mattina: e ora, cosa invento? Per tornare a essere se stessi, avere lo stesso spirito di iniziativa, la stessa fiducia, la stessa voglia di prima. Perché tu ti renda conto che sei come prima, solo un po' più felice.

Lo chef e il mare